Il giornalismo che verrà - La Sicilia

GIUSEPPE DI FAZIO
Presidente comitato scientifico Fondazione DSe

«Quattro giorni intensi e inattesi». Così, Paola, dottoranda alla Normale di Pisa, descrive il Workshop nazionale di giornalismo tenutosi a Catania dal 27 al 30 settembre. Il laboratorio ha visto 30 giovani, provenienti da sette atenei italiani, dialogare e lavorare proficuamente con direttori di giornali e inviati di testate nazionali, con fotoreporter e con giornalisti impegnati nel “desk”.
In quei quattro giorni è accaduto un fatto, s’è accesa una piccola luce nel deserto di paura e rabbia che accompagna spesso i nostri ragazzi, che dovrebbero essere la più grande risorsa di questa terra e vengono trattati, invece, come una zavorra. Ai corsisti, selezionati su 100 candidati, è stata offerta una opportunità assai difficile da poter cogliere qui al Sud: incontrare maestri, o giornalisti con lunga esperienza anche internazionale, che con la loro semplice testimonianza siano capaci di allargare gli orizzonti degli allievi.
I giovani, inoltre, hanno avuto la possibilità di essere accompagnati da alcuni giornalisti professionisti nel rischio inevitabile della libertà e della creatività.
Ma c’è un altro dato che è opportuno evidenziare. Il Workshop, gratuito, è stato pensato e portato a termine grazie alla fattiva e cordiale collaborazione fra due realtà private operanti nel campo della cultura e dell’informazione (la Fondazione DSe, il giornale online Sicilian Post) e due prestigiose istituzioni universitarie (la Scuola Superiore di Catania e il Dipartimento di Scienze Umanistiche). Quando pubblico e privato collaborano, avendo come unico obiettivo il sostegno ai giovani, possono realizzare cose grandi con costi irrisori.
A tema delle conversazioni, delle conferenze e dei laboratori del Workshop c’era la ricerca di un modo nuovo di raccontare la nostra Isola e il Mediterraneo, in altri termini di un altro modo di fare informazione. Dalle testimonianze dei giornalisti che oggi vivono in trincea è venuta una lezione per tutti: il giornalismo non è solo una tecnica da imparare; è, anzitutto, una responsabilità da vivere rispetto agli eventi e ai personaggi che si raccontano. E, al tempo stesso, è uno sguardo sulla realtà, che non si ferma alla superficie degli avvenimenti, ma scruta in profondità.
In questo modo i fatti e i personaggi che il giornalista racconta cambiano anzitutto lui stesso, gli aprono nella coscienza ferite profonde che, talora, gli possono cambiare la vita. I corsisti, attraverso alcuni laboratori, hanno sperimentato questa possibilità incontrando musicisti, volontari, migranti che vivono e operano in Sicilia. I giovani potevano fermarsi a scrivere un pezzo da sottoporre ai giornalisti ospiti. Invece, molti di loro dopo quelle interviste hanno maturato una curiosità più acuta sui tanti drammi che si consumano nella nostra terra e una maggiore disponibilità a lasciarsi interrogare su come intervenire. Anche questo è un fatto inatteso e imprevisto.

© La Sicilia 04 ottobre 2018