La Sicilia - Così un cittadino di Bronte raccontava l’Etna nel 1621

Manoscritto ritrovato. Il “Compendio della naturale historia di Mongibello”di Natale Di Pace, opera fra mito e scienza

“Un secolo di fuoco”è il titolo del volume (DomenicoSanfilippoeditore), acuradi Lina Scalisi, che sarà presentato oggi alle 17 nell’aula magna Santo Mazzarino dell’ex Monastero dei Benedettini.
PEPPINO ORTOLEVA

In una lettera degli ultimi anni della sua vita, Lucio Anneo Seneca, filosofo, poeta, potremmo dire con un termine più recente intellettuale tra i più grandi del mondoantico, notava che sull’Etna tanti autori anche celeberrimi avevano elaborato versi e pensieri, ma molto rimaneva ancora da scrivere. E invitava il suo interlocutore a salire personalmente sul vulcano, per farsi una propria idea di un fenomeno così misterioso e potente. Da allora con il Mongibello, con il monte di fuoco che sovrasta Catania e che non ha eguali in Europa, hanno continuato a cimentarsi poeti filosofi e scienziati: come a voler dare voce alle sue bocche, o a cercare nei suoi crateri vie di accesso verso il mondo sotterraneo, verso i misteri della terra. Come a volere sciogliere i suoi persistenti enigmi, a cominciare dall’imprevedibilità dei suoi comportamenti. È lecito quindi domandarsi: che cosa aggiunge, alle tante pagine di autori antichi e moderni molto più celebri, il finora in edito. Compendio della naturale historia di Mongibello, opera di Natale di Pace, sacerdote e per sua definizione “cittadino di Bronte”? Il testo, ritrovato anni fa dalla professoressa Lina Scalisi nella Biblioteca de Ajuda in Portogallo, è manoscritto ma ha molti dei caratteri di un libro a stampa. È diviso in pagine regolari, come regolari sono i caratteri. È rilegato, in modo raffinato e prezioso, e dedicato al principe Emanuele Filiberto di Savoia, che stava per divenire per volontà del re di Spagna viceré della Sicilia. Risale infatti al 1621: la sua elaborazione è perciò decisamente successiva al dialogo De Aetna pubblicato nel 1496 da Pietro Bembo, poeta e figura-chiave del Rinascimento, ma antecedente ai primi lavori realmente scientifici: il Mundus subterraneus del gesuita Athanasis Kircher (1665) e il testo che Giovanni Alfonso Borelli scrisse nel 1670, l’anno dopo la più catastrofica delle eruzioni moderne, su incarico della Royal Academy di Londra. La pubblicazione da parte di Domenico Sanfilippo editore del Compendio di Natale di Pace ci ricorda, proprio a 350 anni dall’eruzione del1669, che il secolo in cui il testo fu steso è stato tra le epoche storicamente documentate quello di più intensa attività dell’Etna. Ci mostra il testo sia per come venne scritto e disegnato manualmente all’epoca, sia in una trascrizione che lo rende meno faticoso a noi che non siamo abituati a leggere manoscritti antichi; ci dà a vedere nei dettagli le illustrazioni in parte tecniche in parte più immaginose, e colorate, mettendole a confronto in una ricca scelta iconografica con tante altre rappresentazioni del vulcano, pittoriche e scientifiche; ci mostra anche i volti di molti dei protagonisti del tempo, e della ricerca sul vulcano. E situa l’opera nel suo contesto sotto ponendola, per così dire, a una triangolazione di punti di vista. Possiamo così guardare al Compendio nella prospettiva storica di Lina Scalisi, la curatrice, che mette a fuoco la figura fin qui quasi del tutto sconosciuta dell’autore e il mondo complesso in cui nacque il suo testo, un mondo fatto di intellettuali (generalmente sacerdoti) prìncipi e ordini cavallereschi: un mondo per il quale il vulcano era insieme un oggetto di curiosità e una causa di possibili e sempre imprevedibili catastrofi a cui far fronte. Possiamo poi attraversare il testo nella prospettiva scientifica del vulcanologo Stefano Branca che da un lato analizza criticamente le informazioni sulla storia delle eruzioni che se ne possono trarre, dall’altro lo colloca, con la sua ingenuità ma anche con le sue intuizioni, nel cammino che da modelli più arcaici stava portando verso la moderna scienza sperimentale. E possiamo cercare di comprendere il modo di pensare di Natale Di Pace con l’aiuto dello storico della scienza Luigi Ingaliso, che esplora le radici dei suoi ragionamenti: da un lato l’adesione tenace a quella fisica aristotelica che da importante strumento conoscitivo era diventata dogma, dall’altro la lettura attenta di testi classici noti e meno noti alla ricerca di intuizioni che arricchissero la conoscenza di un mondo comunque enigmatico e poco esplorato. Senza dimenticare che il canonico di Bronte insisteva nel voler ricollegare l’Etna alla sua visione religiosa del mondo: per cui le fiamme che il mondo sotterraneo lancia su di noi non possono venire che dal fuoco infernale. Possiamo ora tornare alla domanda su che cosa questa edizione del Compendio della naturale historia di Mongibello può dire anche a noi non specialisti. In primo luogo, si tratta appunto di un“compendio”: nella prima metà del secolo in cui l’Etna ha più fatto temere la sua potenza distruttiva, un uomo certamente dotto ma di cui non ci era quasi rimasta notizia ha provato a mettere insieme le informazioni che erano state raccolte e le ipotesi che erano state proposte per spiegare il vulcano la sua natura e le sue manifestazioni, a “inquadrarlo” come diremmo oggi per come poteva farlo la cultura del suo tempo. Con una differenza importante da tanti altri dotti che se ne erano e se ne sarebbero occupati: Natale di Pace scriveva da uomo che conosceva il vulcano non grazie a visite episodi che per quanto accurate, ma da brontese, da cittadino dell’Etna se così possiamo dire, cresciuto sulle sue pendici. E questa familiarità si nota, a mio vedere, in modo sorprendente nei disegni che accompagnano il volume, se li si confronta con le illustrazioni più professionali e preziose, ad esempio, del libro di Kircher. Inoltre, il fatto che sia un testo manoscritto, ma con tanti caratteri di un’opera a stampa, ci ricorda qualcosa che tanti dimenticano:tra la nascita della stampa e la sua piena affermazione come strumento per elezione della comunicazione pubblica vi è stato un lungo periodo, durato ancora fino a parte del Settecento, nel quale la scrittura a mano ha continuato ad affiancare la tipografia e a farle in qualche modo concorrenza, per far circolare opere non sempre meno importanti, ma che si volevano dirigere a singoli personaggi, o a pubblici particolari. C’è poi un altro aspetto dell’opera di Natale Di Pace che merita ancora oggi la nostra attenzione: contrariamente alla tendenza diffusa a pensare che il cammino dalla superstizione alla scienza sia stato lineare e irreversibile, per secoli la ricerca di spiegazioni razionali e la narrazione mitica hanno continuato a intrecciarsi, come nel Compendio il confronto tra le diverse teorie sulle cause dei fenomeni vulcanici si incontra con le fiamme dell’inferno. E questo resta ancora oggi almeno in parte vero: tanto più di fronte a una realtà, che la chiamiamo Etna, Mongibello osemplicemente ‘a Muntagna, che continua ad affascinarci, e continua a presentarci più misteri che certezze.

 

© La Sicilia 21 novembre 2019