La Sicilia - Generazione 18: più luci che ombre

ANTONIO MARTINO
L’ indagine effettuata da giornalisti della Fondazione Domenico Sanfilippo Editore e da Sicilian Post su un gruppo di 150 diciottenni siciliani, pur con i suoi limiti, ha consentito di pervenire a conclusioni significative sugli orientamenti prevalenti fra i nostri giovani.
    In generale, direi che il quadro che ne emerge è in larga misura rassicurante: i nostri giovani sembrano decisamente migliori della generazione che li ha preceduto. Questo non significa, ovviamente, che non ci siano aspetti poco esaltanti nelle idee della nostra gioventù. Per esempio, è molto marcata la preferenza per il lavoro stabile rispetto a quello temporaneo. Questa è una caratteristica che segnava anche le preferenze delle generazioni precedenti, ed è il risultato della distorsione culturale realizzata dall’impiego pubblico. Si ritiene che il lavoro stabile sia sinonimo di sicurezza, garanzia per il futuro, assenza di preoccupazioni. In realtà non è così: laddove i mercati del lavoro funzionano, i lavori temporanei abbondano per cui il lavoratore a tempo determinato lavora con continuità, anche se cambia impiego più volte. Il lavoro a tempo indeterminato non è necessariamente eterno: anche le attività più solide alla fine cessano. Tuttavia, la preferenza per il posto stabile è diffusa e fortemente radicata, il che contribuisce a rendere sclerotici i mercati del lavoro.
    Il rapporto dei giovani con la politica meriterebbe ben più di un breve cenno, anche perché, con poche differenze, mi sembra rifletta una tendenza generale, tipica di tutta la società italiana. I giovani che dichiarano che non andranno a votare sono relativamente pochi, molto meno, a parer mio, di quelli che di fatto si asterranno dall’esercitare questo loro diritto. La spiegazione è semplice: i giovani sanno che non votare è sbagliato, significa venir meno a un dovere civico e rinunziare a esercitare un diritto fondamentale, e si astengono dal dichiararlo anche quando in realtà hanno già deciso di non votare. Quelli che lo dichiarano, tuttavia, non sono pochi, il che suggerisce che l’assenteismo tipico delle generazioni precedenti sopravvive anche in quelle più recenti.
    La disaffezione per la politica è anch’essa simile a quella che riguarda le fasce di età più alte in tutt’Italia, anche se con qualche differenza fra regione e regione. Il “partito” di gran lunga più grande nel nostro Paese è rappresentato da coloro che non andranno a votare e da chi non sa per chi votare. È stato sostenuto che la bassa partecipazione alle urne può essere determinata anche dal convincimento che non fa molta differenza chi vinca le elezioni, perché la democrazia è solida e le differenze fra partiti sono talmente piccole da essere irrilevanti. È questa la tesi prevalente usata per spiegare la scarsa affluenza alle urne degli americani. Anche ammesso che tale interpretazione sia valida per gli Usa, non credo possa essere applicata all’Italia. I due maggiori partiti americani, infatti, in certi periodi hanno programmi molto simili, di modo che non fa molta differenza chi prevalga nelle urne. Lo stesso non è mai stato vero in Italia, dove le differenze fra partiti in genere tendono a essere molto marcate. Non credo, quindi, che astensionismo e disaffezione da noi siano fisiologici, sono invece un grave segnale d’allarme sulla salute della nostra democrazia.
    Infine, a voler dar credito ai risultati di questa indagine, i nostri giovani sono largamente immuni dalla xenofobia: guardano con simpatia agli immigrati, anche se la percentuale di quelli che preferirebbero che restassero a casa loro è lungi dall’essere bassa. Tuttavia, teniamo presente che la maggioranza degli intervistati ha manifestato in vario modo le sue preoccupazioni circa la possibilità di trovare un lavoro accettabile e possibilmente stabile. Questo non si traduce tuttavia nell’erronea convinzione che “gli immigrati rubano il lavoro agli italiani”, che è molto diffusa in certe zone del Paese. E questo va ad onore dei giovani siciliani intervistati.
    Molto altro si potrebbe dire a proposito dei risultati di questa indagine, ma mi limiterò solo all’auspicio che altri studi del genere vengano promossi e realizzati dalla Fondazione Domenico Sanfilippo Editore, aiutandoci a capire in che direzione va la nostra amata Sicilia. 
 

© La Sicilia 23 febbraio 2018