La Sicilia - Giovani consapevoli ora serve ascoltarli

LEANDRA D'ANTONE
È piccolo, di 150 giovani tra 17 e 20 anni tra il liceo e l’Università, né pretende di fornire un modello statistico, il campione analizzato a cura di Giuseppe Di Fazio e Giorgio Romeo, dalla Fondazione Domenico Sanfilippo editore e dalla giovane startup “Sicilian Post”. Sono tuttavia ambiziose le domande e significative le risposte riguardanti il sentire della generazione che assiste dalla Sicilia alla grande trasformazione in atto, dagli esiti in gran parte imprevedibili.
    Come rispondono i diciottenni di oggi a un cambiamento radicale che investe le forme e i linguaggi della politica, gli orizzonti dell’istruzione e della cultura, le aspirazioni e prospettive lavorative, i cambiamenti demografici, le nuove relazioni tra popoli diversi, le tecnologie produttive e dell’informazione?
    Dalle risposte disponibili risulta forte la volontà di partecipazione politica e anche al voto, anche se restano indecisi orientamento e scelte partitiche. La famiglia è il principale luogo della discussione della politica, più dell’Università e degli stessi social, ma soprattutto più dei circoli di partito ormai ridottissimi. L’informazione è ampia ma guardinga verso le false notizie e attinge ai social media più che alla carta stampata.
    La Generazione 18 dedica il tempo libero, spesso a spese proprie, soprattutto alla formazione culturale, quindi alle attività ricreative e in piccola parte al volontariato. Con esperienze di lavoro limitate, per lo più nella ristorazione e nel turismo, ma anche nell’informatica e nei social, i giovani immaginano il loro futuro soprattutto in altri Paesi europei o anche extraeuropei, più che in Italia e soprattutto in Sicilia. Chi vorrebbe restare nel nostro paese ritiene tuttavia prioritari investimenti nell’istruzione, quindi in sgravi per l’assunzione al Sud, e in agevolazioni per la mobilità. La gran parte percepisce la cittadinanza europea come occasione di apertura culturale, di vantaggi e agevolazioni spesso poco conosciute, oltre che di nuovi diritti; vede gli immigrati come amici, ma con pari orientamento all’aiutarli nei loro Paesi o a fare buone politiche di accoglienza e di integrazione. 
    Nel complesso le risposte rivelano giovani consapevoli e realisti, meno disorientati o frustrati dei loro genitori e nonni di fronte ai cambiamenti, ma al tempo testimoniano il più drammatico dei problemi e indicano una più visionaria scommessa di futuro per il Sud del nostro Paese. I diciottenni del Sud chiedono di interrompere con uno straordinario impegno nella formazione di capitale umano lo tsunami demografico dovuto all’emorragia di giovani soprattutto qualificati e al crollo della natalità nelle aree geografiche meno produttive e quindi con minori prospettive di lavoro. È quanto emerge già da diversi anni in molte ricerche sul Sud d’Italia e sul sistema formativo e universitario.
    Dopo il Rapporto Res 2015 “Università in declino”, curato da Gianfranco Viesti (Donzelli 2016), è appena tornata sul tema la “Rivista economica del Mezzogiorno” della Svimez, con un numero speciale, “L’Università nel Mezzogiorno”. In questo caso le aspettative e le necessità dei giovani sono rappresentate attraverso approfondite analisi e dati che inchiodano alla realtà e all’inelut - tabilità di scelte responsabili. Negli ultimi 10 anni in Italia si è contro ogni logica di sviluppo “disinvestito” sull’istruzione. Le risorse destinate al sistema universitario si sono ridotte, a differenza che nella maggioranza dei paesi dell’Ocse; non solo, ma i criteri di valutazione e di assegnazione delle risorse hanno finito col penalizzare proprio le Università del Sud e particolarmente quelle delle isole, con un vero e proprio crollo delle immatricolazioni e la fuga verso altri atenei del Nord. Per gli studiosi chiamati dalla Svimez è dunque urgentissimo che le politiche pubbliche si concentrino soprattutto sui giovani e sulla formazione di capitale umano oggi, pensando anche ai giovani e all’Università di domani. I ragazzi di “Generazione 18”, alcuni con timore, la gran parte con stupore e apertura, vedono il mondo mutare alla velocità della luce e di questo processo si sentono protagonisti: “Dobbiamo essere noi a volere il cambiamento”. È una conclusione di pochi che alimenta, tuttavia, la speranza e la fiducia dei cittadini di ogni generazione. 

© La Sicilia 3 marzo 2018