La Sicilia - Gli scrittori siciliani e la Grande Guerra

REDAZIONE

Nel centenario dell’entrata dell’Italia nel Primo conflitto mondiale, Salvatore Scalia nel libro “L’apocalisse degli automi” (Domenico Sanfilippo Editore, domani in vendita in abbinamento al quotidiano La Sicilia a 5,70 euro oltre al prezzo del quotidiano) propone la prima analisi organica delle testimonianze, esperienze e trasposizioni letterarie degli scrittori siciliani sulla Grande Guerra. La prospettiva parte dalla Sicilia per assumere una dimensione europea, sia per la statura dei personaggi trattati, sia perché con i loro scritti entrarono a pieno titolo nei temi che animarono il grande dibattito europeo prima, durante e dopo il conflitto. La Sicilia del resto con il terremoto di Messina costituì per molti volontari europei il modello dell’Apocalisse, a cui nella prima fase, convinti che la guerra sarebbe durata pochi mesi, andavano gioiosamente incontro perché la ritenevano rigeneratrice di una società corrotta e malata. Una scossa salutare che avrebbe cancellato il marciume e rinnovato gli esseri umani. Dell’Apocalisse presto prevalse solo l’immagine di morte, distruzione e crolli spirituali.
    Scrive Scalia: “Si era andati a combattere per sfuggire alla realtà disumanizzante della società industriale, sognando l’uomo nuovo forgiato dal fuoco e dall’acciaio dei cannoni, e si sperimentò per la prima volta l’industrializzazione dell’orrore, dei massacri, delle sofferenze.
    ”Il vecchio Verga fremeva perché aveva voglia di andare a combattere contro gli austriaci, Capuana con i suoi libri preparò il terreno su cui sarebbe fiorita l’ondata di spiritismo che invase l’Europa nell’illusione di far tornare i morti.
    Pirandello, che da giovane aveva studiato a Bonn, risolse letterariamente il conflitto tra la sua formazione da germanista e la necessità di mutare alleanze e di schierarsi contro Austria e Germania. Per questa conversione ideologica, sia in nome del compimento del Risorgimento sia per indulgenza paterna nei confronti del figlio interventista, mise in campo anche le tradizioni familiari garibaldine.
    Borgese ha lasciato la testimonianza letteraria più incisiva sugli ideali, i calcoli, le ambizioni nascoste, sulla disillusione dei volontari, sulla falsità dei miti marinettiani e dannunziani, nonché sulla confusione mentale del primo dopoguerra. Fu Rosso di San Secondo, di cultura mitteleuropea, a rappresentare la disumanizzazione provocata dalla guerra che aveva trasformato gli esseri umani in marionette, grande tema dell’Espressionismo tedesco.
    De Roberto ha scritto uno dei racconti più alti della letteratura europea sull’esperienza della trincea: la morte per nulla, l’ottusità degli ordini, e il suicidio di un eroe come atto estremo di ribellione contro l’assurdità del massacro. Per Tomasi di Lampedusa la guerra fece l’effetto di “una doccia di acqua ragia”. Egli raccontò di avere ucciso un bosniaco. La brutalità e l’assurdità dell’esperienza al fronte permea tutta la sua opera.
    L’incontro traumatico con i massacri in trincea e la trasformazione psicologica da uomini in macellai di esseri umani, nel libro di Scalia, sono ricostruiti attraverso una testimonianza dal basso, l’autobiografia di un ragazzo del ‘99, Vincenzo Rabito, il contadino semianalfabeta di Chiaramonte Gulfi.

© La Sicilia 22 maggio 2015