Abdoul, rinato in Sicilia dopo accuse e condanne

GIORGIO PAOLUCCI

Editorialista - Avvenire

«Io scafista? Macché, è tutto un equivoco, un gigantesco equivoco.

Non sono un criminale, sono uno che vuole migliorare la mia vita e quella della mia famiglia».

Abdoul non ci sta a passare per un delinquente, non ha mai digerito la condanna a 3 anni e 4 mesi di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, si considera vittima di un errore giudiziario anche se è contento di potere scontare la fine della pena lavorando come aiuto cuoco al ristorante Terraviva, una delle iniziative nate dalla fantasia di Giuseppe Messina e dove alcuni ospiti delle Oasi della Provvidenza trovano la possibilità di inserirsi nella società. Dopo una lunga odissea che dal suo Paese lo ha portato in Mali, Burkina Faso, Niger e Libia, Abdoul è salito su un gommone con destinazione Catania. «Uno dei libici che ci avevano condotto in mare aperto mi ha puntato il fucile alla tempia e mi ha detto 'guida tu, noi torniamo indietro'. A nulla sono servite le mie resistenze, ho capito che rischiavo di venire impallinato dai miei carnefici e tremando sono riuscito a pilotare il gommone fino al largo di Catania, dove la Guardia Costiera ci ha intercettato portandoci in salvo ». Il magistrato non ha creduto alla sua versione, e lui ancora non sa darsene ragione, ma nel suo cuore prevale la gratitudine per chi lo ha aiutato a ripartire accogliendolo nell’Oasi di Pedara. «Giuseppe Messina è stato il mio secondo padre, ha creduto in me e mi ha pure trovato un lavoro. Sapevo già cucinare, ora mi sto specializzando anche nei piatti italiani. Il mio sogno? Portare in Italia la moglie e i due figli. Senza costringerli a salire sul gommone».