Avvenire - I sogni spezzati dal piombo

GIUSEPPE MATARAZZO

 

Adesso mi ritrovo su una sedia a rotelle e la mia vita non  è più la stessa. A chi mi chiede se valga la pena vivere in queste condizioni rispondo: ognuno di noi ha un percorso da seguire e credo che nulla accada per caso. Io per quanto posso, guardo in faccia la sofferenza e nonostante essa sembri essersi cucita addosso a me, ogni mattina quando mi sveglio mi ritrovo una letizia nel cuore».
La vita di Laura Salafia non è più la stessa dal primo luglio del 2010, quando una pallottola vagante, mentre usciva dall’università dopo un trenta e lode nell’esame di lingua spagnola, le si è conficcata nel collo lesionandole il midollo. Quella mattina Catania era  meravigliosa: «Il cielo era azzurro e limpido», il sole baciava il giardino dei novizi del Monastero dei Benedettini, il cuore antico dell’ateneo, nell’aria c’era il «profumo dell’estate», infuocata come la lava dell’Etna. Ma il destino quel giorno si è messo di traverso, come in un film. Quella luce abbagliante è diventata di colpo buio. Tutti i sogni, zavorre. Al suo risveglio, Laura - studentessa lavoratrice di 34 anni, originaria di Sortino (Sr) - si troverà improvvisamente davanti a un bivio enorme e ingiusto: lasciarsi abbattere dalla disperazione oppure reagire, guardare il mondo con occhi diversi e giocarsela lo stesso fino in fondo la vita. Lei ha scelto la strada più difficile. La nuova vita di Laura si può leggere in un "diario pubblico" affidato alle colonne del quotidiano "La Sicilia", che l’ha adottata, affidandole  una rubrica per divulgare il suo «ardente desiderio di  vivere». Testi ora raccolti in un toccante libro pubblicato da Domenico Sanfilippo Editore, "Una forza di vita" (pagine 96, euro 8,00 con il giornale; per info: abbonamenti@lasicilia.it). Il volume è stato presentato ieri pomeriggio nel salone dell’Unità spinale dell’Ospedale "Cannizzaro", un’eccellenza della sanità siciliana che per Laura è stata una casa per i lunghi mesi di riabilitazione dopo l’esperienza di Montecatone (Imola). Ieri qui c’era aria di festa, in questo capodanno, carico di speranze e desideri. Perché la serenità di Laura è una «medicina », per tutti. Lei parla piano, a fatica, ma nei suoi occhi ci sono infinite poesie. È qui con i compagni di viaggio, la sua «grande famiglia»: c’è la mamma Enza che con il papà Nino sono stati «sostegno
silenzioso e fiducioso» e a cui Laura vuole «cancellare la malinconia dagli occhi». C’è l’editore Domenico Ciancio, ci sono i dirigenti del polo sanitario, i medici, gli infermieri, i volontari che hanno seguito Laura, i degenti come lo è stata lei. Amici. Tanti. Ci sono  tutte le persone che hanno saputo, giorno dopo giorno, trasformare questa brutta pagina in una favola. Non è presente, ma è unita in preghiera, suor Maria Cecilia La Mela, claustrale benedettina, che ha instaurato un profondo legame
con Laura, definita nella postfazione «fata di luce».  Non è tutto luce, ovviamente. La favola ha momenti scuri. «Nel buio della notte ogni dolore fisico e dell’anima sembra non poter mai guarire - scrive Laura -. Ci si sente soli, abbandonati, disperati. Anche io in questi
momenti chiedo al Signore che mi  porti via. Ripenso ai miei progetti e mi sembra di sprofondare in un baratro. 

E piango. Le ore passano. Si comincia  a sentire il rumore di qualche auto; aprono le saracinesche dei bar. La vita  riprende i suoi ritmi. Tutto si acquieta. Ce l’ho fatta. Al buio della notte segue la luce di un nuovo giorno». Guardando e ascoltando Laura immagini
i sogni spezzati, la voglia di crescere e realizzarsi. Fino all’incontro fatale  con una pallottola. «La storia di Laura, come quella di tanti altri malati nelle sue condizioni, ci indica che le persone hanno bisogno anzitutto di un aiuto per vivere. Un aiuto non solo materiale, ma
del significato per cui vale la pena combattere la battaglia per la vita», scrive nella prefazione Giuseppe Di Fazio, giornalista e presidente del comitato scientifico della Fondazione Domenico Sanfilippo, uno di famiglia per Laura. In tempi di crisi, «la storia di Laura diventa una testimonianza per ricostruire nella società la passione per la vita». «Ho sempre fame di vivere e questa fame  non è mai venuta meno - scrive -. Sono convinta che il Signore mi abbia fatto un grande regalo: la capacità di non arrendermi mai. Me lo ha ricordato papa Francesco, quando abbracciandomi, mi ha detto: "Non mollare, porta con fede la tua croce"». Anche ieri Catania era meravigliosa.
Con un sole caldo e accecante. Quello che il primo luglio del 2010 baciava Laura e i suoi sogni. Che continuano nonostante tutto.

© Avvenire del 4 Gennaio 2018