1969, le donne faticano di più lavorano meno

di Francesca Rita Privitera

È il 1969. Alle radio di tutto il mondo impazzano i Beatles mentre Lucio Battisti apre il Festival di Sanremo con un brano che canticchieremo per generazioni: “Un’avventura”. E di fatto quello è per il nostro giornale un anno all’insegna dell’avventura. Stimolata da una società in fermento, “La Sicilia” vive una fase di accesa sperimentazione che porterà a luglio alla prima pagina a colori. Ne è testimonianza l’inserto “Per Lei” dedicato al gentil sesso che esprime una più generale volontà della redazione di raggiungere diverse fasce di lettori (sono dello stesso anno i supplementi “Vent’anni. Il foglio dei giovani” e “Week-end. Il foglio di fine settimana”). Ma manifesta anche un interessamento delle donne alla lettura del giornale, non ovvio per il periodo. Nel mese dedicato alle mimose e ai 75 anni del nostro quotidiano, rispolveriamo le pagine di questo speciale per riflettere sulla memoria che l’Archivio storico, specchio della nostra identità, ci trasmette.

È trascorso più di un ventennio dal suffragio universale: nel momento in cui alcune catanesi lavorano nelle prime fabbriche della Zona industriale e la minigonnapantalone interpreta il nuovo femminile, Bianca Cordaro, che sarebbe diventata giornalista di punta della sede siciliana della Rai, e Vittorio Consoli, futuro capocronista de “La Sicilia”, firmano l’inserto dal sottotitolo “Il foglio della donna”, 4 pagine in aggiunta al quotidiano del giovedì. Intrecciare un colloquio su argomenti che interessino il pubblico di entrambi i sessi: è questa la mission che i due curatori tratteggiano nell’editoriale del primo numero in edicola il 30 gennaio 1969. E in effetti le diverse tematiche sono approcciate in modo versatile. Si scrive di moda, previdenza sociale, salute, arredamento, cura dei figli e partecipazione politica. Ma anche di cucina: apprezzate le ricette dei cocktail come il "Journalist" (un mix di vermouth, curaçao, angostura e gin); e di lavoro: interessanti gli articoli sulle nuove figure professionali per le quali le donne sarebbero inclini, come assistenti sociali, scenografi di vetrine e tecnici di laboratorio. Ampio spazio poi a curiosità storiche di ogni tipo, da quelle su invenzioni, come coriandoli e ditale, a quelle su icone femminili, come l’artista Lia Pasqualino e la regina scrittrice Carmen Sylva. Queste pagine ci restituiscono l’eco della società del tempo, fotografandone le trasformazioni in atto. Un articolo ad esempio del numero del 13 febbraio 1969 registra l’usanza, allora sempre più diffusa fra i giovani, di convivere in gruppo, maschi e femmine insieme, in grandi appartamenti, secondo ideologie e interessi culturali comuni. Ma se da un lato l’inserto testimonia l’apertura dell’Isola all’emancipazione femminile, dall’altro di quella cultura evidenzia i limiti. Nel primo numero è riportata una curiosa statistica: «la donna lavora molto più dell’uomo (in conseguenza soprattutto delle sue mansioni domestiche) e dedica al sonno e all’alimentazione un quantitativo minore di tempo». Stando sempre a questo studio, minore rispetto all’uomo è anche il tempo dedicato ad attività intellettuali mentre maggiore è quello occupato per la cura personale. Questi dati sono completati da quelli sull’occupazione che troviamo nel numero del 20 febbraio 1969: «La mano d’opera italiana è composta attualmente da 20.683.000 unità: di queste, 14.766.000 sono maschi e 5.916.000 sono donne escluse le casalinghe». I

nsomma, nel 1969 il gentil sesso fatica più degli uomini ma lavora meno. A completare il quadro sono le lettere delle lettrici. Significativa è la risposta che Marussja (Myriam Manzella), scrittrice e collaboratrice del quotidiano catanese, dà nel numero del 27 febbraio 1969 alle madri in cerca di consigli per tenere occupati i propri pargoli. «Aiutiamoli a impiegare il tempo affidando loro mille piccoli incarichi di fiducia facendo finta di farsi aiutare nelle faccende domestiche (spolverare, lucidare, ordinare, eccetera) se sono delle femminucce»; se invece sono dei maschietti, prosegue, vanno spronati «a costruirsi, con scatole da scarpe, spago, grossi bottoni, rocchetti vuoti di filo, e tante altre piccole cose, treni, pupazzi, case, a seconda della fantasia, dell’intenzione e della predisposizione del bambino». Oggi sicuramente farebbe scalpore: l’ingegno va coltivato solo nei figli maschi? Il suggerimento ci ricorda semplicemente che siamo alle porte degli anni ’70 e che tanta strada va ancora fatta. Il messaggio più forte che la rilettura di queste pagine ci lascia è una domanda aperta non tanto su chi eravamo cinquant’anni fa, ma su quanto possiamo dirci mutati rispetto ad allora.

© La Sicilia, 11 marzo 2020