Il mio Novecento di Nino Milazzo
Nell'epoca dell'informazione-spettacolo, in cui i fatti vengono tranquillamente piegati alle tesi precostituite di molti sedicenti giornalisti d'inchiesta, il volume di Nino Milazzo “Il mio Novecento” (che da oggi i lettori potranno comprare assieme al nostro quotidiano) ci porta su un altro pianeta. E ci fa immergere in un esempio di grande giornalismo in cui la prosa asciutta e raffinata si unisce alla verifica minuziosa degli avvenimenti raccontati, e in cui la curiosità del giornalista si sposa col rispetto della realtà. «Milazzo –scrive acutamente Ferruccio de Bortoli nell'introduzione – non ha mai polemizzato coi fatti se questi si allontanavano dalle proprie previsioni». Non è, questa, virtù di poco conto in giorni in cui il modello vincente del “buon” giornalismo sembra essere, invece, quello che davanti all'evidenza dice: «Ma a me risulta il contrario». Le inchieste, i reportages e i commenti di Milazzo ci conducono in un cammino attraverso la storia del secondo Novecento, facendoci rivivere dall'interno momenti e circostanze del Secolo breve. Come la tragedia del Vajont del 1963, in cui l'allora giovane inviato de “La Sicilia” racconta “il più assurdo cimitero d'Italia” facendoci immergere nell'atmosfera umana di quei luoghi e raccontandoci il dolore della “Pompei del Cadore”. Nelle pagine de “Il mio Novecento” tro - viamo molti eventi di politica estera: dall'assassinio di John Kennedy a quello di Martin Luther King, dalla rivolta di Danzica allo scandalo Watergate, dalle guerre in Medio Oriente alla realtà dei gulag, dal Vietnam alla cacciata dello Scià. Meraviglia tutta questa attenzione ai fatti internazionali in un giornalista che all'inizio della carriera scriveva, in fondo, per un giornale regionale. Eppure proprio quando non si parlava ancora di globalizzazione era evidente ai più che quanto accadeva in America, o in Urss o in Medio Oriente aveva ripercussioni forti anche nella nostra terra, periferia del mondo. Magistrali sono, per esempio, le pagine scritte da Milazzo nel 1973 in un reportage dagli Usa all'epoca del Watergate. Sono pagine che andrebbero rilette per capire cosa sta accadendo oggi nell'America di Trump. Già allora Milazzo scriveva che negli Stati Uniti «anche se nessuno lo ammette o se ne rende conto, si sta riscoprendo l'originaria vocazione isolazionista». Un isolazionismo che allora era psicologico prima che politico. Questa apertura al mondo si accompagna nel libro di Milazzo a un'attenzione meticolosa alla realtà siciliana. Ma si potrebbe anche dire che è proprio quella apertura che consente di leggere ancor meglio quanto accade in Sicilia, nella politica e nella società. Il 7 gennaio del 1970 Milazzo scriveva: «Altro che decollo! Qua siamo nel gelo della stagnazione». E aggiungeva: «La Sicilia ufficiale si è in gran parte staccata dalla Sicilia che soffre, che spera: in maniera così netta e brutale che l'una non si riconosce più nell'altra». Le Memorie di Milazzo sul Secolo breve non sono appena riflessioni da consegnare alla storia. Sono parole vive, palpitanti, che sgorgano dall'intelligenza e dal cuore di un giornalista che –come egli stesso ha scritto – «non si è limitato a raccontarla e a giudicarla sui giornali questa storia: l'ha vissuta intimamente con un senso avvolgente di partecipazione». Per questi motivi quegli articoli tratti dagli archivi de “La Sicilia” e del “Corriere della Sera” parlano ancora oggi alla nostra vita e ci aiutano a stare in questo momento di passaggio d'epoca col desiderio di capire ciò che accade sotto i nostri occhi e di offrire il nostro piccolo contributo alla costruzione del mondo che verrà.
di Giuseppe Di Fazio, La Sicilia 31 marzo 2017