La Sicilia - Il faro della notizia domina Catania

Il 18 aprile 1968 il trasferimento della sede dal centro storico alla Circonvallazione

TONY ZERMO

Cinquant’anni fa il nostro giornale si trasferì dal centro storico di Catania nella nuova sede di viale Odorico da Pordenone 50. Anche i numeri hanno un senso. L’edificio che per primo aveva accolto “La Sicilia” il 15 marzo del 1945 era un ex conventoin via Sant’Agata dove ero entrato a vent’anni nel settembre del 1952. Passato il portone, salivi lungo una scala stretta e lunga che alla sua sommità si divideva in due: a destra c’era l’amministrazione guidata da un ex ufficiale dell’Esercito, Antonio Di Mattia, e a sinistra c’era la redazione un lungo corridoio che aveva stanze da entrambi i lati e finiva in una grande terrazza. C’era un enorme salone dalle altissime volte affrescate che suscitavastupore, ma era poco utilizzato:ci mettevamo le polverose collezionidel giornale. Poi cominciava il corridoio e la prima stanza della fiancata sinistra era del fondatore del giornale, avvocato Domenico Sanfilippo, il quale teneva la porta sempre aperta perché riceveva tutti con il solito saluto «Egregio amico».
    Seguiva la segreteria affidata a Turi Lo Presti, alto funzionario comunale in pensione. Faceva da segretario al comm. Sanfilippo e anche al direttore dell’epoca, Antonio Prestinenza (non avevo conosciuto il primo direttore Alfio Russo, poi direttore del “Corriere della sera”). Prestinenza era un fine scrittore di Acireale autore della “Città dalle cento campane”. Dopo la segreteria veniva la stanza della redazione sportiva con il caposervizio Gigi Prestinenza, Candido Cannavò, Pippo Garozzo e Angelo Casabianca. Seguiva la stanza del Notiziario, il “motore” del giornale, con Renzo Distefano caporedattore, Pippo Catalano (Interni), Nino Milazzo futuro vicedirettore del “Corriere della sera” (Esteri), Puccio Corona poi passato alla Rai dopo Pietro Isgrò, Francesco Merlo ora prima firma di “Repubblica” e figlio del direttore della nostra tipografia Turi Merlo. Mario Petrina, Santo Petringa, Filippo Cosentino e altri nel tempo. La stanza del futuro condirettore, Piero Corigliano, era contigua e stava tra il Notiziario e la stanza del direttore.
    Dall’altro lato, sulla fiancata destra, c’erano le stanze dei collaboratori che precedevano quella della Cronaca gestita da Salvatore Nicolosi, detto Turi Nik, con suo fratello Pietro e Vittorio Consoli.
    Questo lungo corridoio aveva alla fine una stanza particolare riservata agli stenografi che dentro cabine insonorizzate raccoglievano gli articoli degli inviati e dei collaboratori. Erano bravissimi, Turi Falsapela, Totò Esposito,Alcesti Brogioni, Italia Fraticelli figlio di un generale. I primi due, cioè Falsaperla ed Esposito, erano così bravi che prima vennero assunti dalla Rai a Roma e poi divennero stenografi del Parlamento.
    Il terrazzone finale era bellissimo perché circondato da palazzi storici come quello dell’Arcivescovado. C’era anche un gabbiotto con dentro il contenitore delle balate di ghiaccio. Attraverso la serpentina bevevi acqua freschissima. Nelle sere d’estate faceva così tanto caldo che molti preferivano lavorare nel terrazzone a torso nudo. Il giornale all’inizio non aveva una sua tipografia, stampava in quella del “Corriere di Sicilia”, il giornale diretto dal dott. Longhitano, che si trovava a pochi metri in via Santa Maria del Rosario. Poi dopo alcuni anni ne acquistò una sua.
    Vi ho descritto lo stabile e vi ho fatto alcuni nomi di quel tempo, non tutti perché sarebbero centinaia; debbo aggiungere che c’era un tale entusiasmo, una tale voglia di sfondare a Catania che aveva altri quattro quotidianiche in pochi anni diventammo il primo quotidiano non solo in città, ma anche in tutto il Sud-Est dell’Isola, Siracusa, Ragusa, e poi anche Enna e Caltanissetta, mezza provincia di Messina con la chicca di Taormina.
    Dopo 23 anni trascorsi nel vecchio convento ci trasferimmo alla Circonvallazione il 18 aprile 1968. Trasferimento necessario perché la rotativa nel vecchio centro faceva troppo rumore e perché ormai ci stavamo stretti nella vecchia sede, il giornale era diventato importante, ricco e poteva permettersi questa spesa.
    Il trasferimento non fu facile. Bisognava portare simultaneamente almeno dodici linotypes integre e pronte all’uso. Si cominciò di notte, quando il piombo era ormai freddo. Ci fu un intoppo perché due macchine vennero incastrate tra le porte, arrivarono i guastatori che a colpi di mazza trasformarono un finestrone in porta d’accesso. Nel pomeriggio il reparto composizione era già funzionante e tutta la redazione aveva già traslocato con i telefoni pronti all’uso.
    Più difficile sarà qualche anno dopo la trasformazione del sistema da caldo (piombo) a freddo (computer). Anche qui si passerà gradatamente da un sistema all’altro diminuendo ogni settimana il caldo a vantaggio del freddo. E così fino a spegnere l’ultima linotype e a sfornare dalla stereotipia l’ultimo flano. Il tutto durerà 6-7 mesi senza mai subìre un minuto di ritardo nei tempi di composizione e di spedizione. Spedizione che avveniva o con la flotta di auto del sig. Marino e figli, oppure via treno e autobus, oltre che aereo. Da allora si lavora con i computer e non più con la carta. Il primo computer me lo affidarono nel ‘94 per i mondiali negli Usa. Non riuscii a farlo funzionare. Poi me ne diedero un altro per i mondiali di Francia ‘98 e stavolta fui in grado di trasmettere gli articoli. Abbandonata la mitica Lettera 22 della Olivetti, da allora si lavora altrettanto bene con i computer, anzi viene più facile perché puoi correggere il testo spostando il cursore, mentre prima dovevi ritagliare la pagina e inserirci la correzione con la colla. Una faticaccia.
    Lavoriamo ormai da mezzo secolo in un moderno edificio di sei piani, mentre la tipografia è stata spostata al centro Stampa della zona industriale, una straordinaria impresa tecnologica che è costata un grande sforzo finanziario al direttore-editore, Mario Ciancio Sanfilippo. Della super-tipografia che stampa la maggior parte dei quotidiani italiani si occupa il condirettore Domenico Ciancio.
    Nell’edificio di viale Odorico da Pordenone ci sono sei piani. Al primo, sotto il livello stradale, abbiamo il posteggio e vari servizi, al piano di sopra c’era la rotativa, ma ora ospita vari uffici. A livello stradale ci sono l’ingresso, l’ex centralino ora automatico, il New Papers game, altre stanze e gli ascensori. Al primo piano gli uffici amministrativi e la Fondazione Domenico Sanfilippo, al secondo la redazione e al terzo la televisione. Il giornale è in crisi da dieci anni, così come tutti gli altri quotidiani. I colleghi lavorano forte per presentare ogni mattina un giornale dignitoso a migliaia di lettori affezionati. Siamo ancora il quotidiano più letto di Sicilia con l’orgoglio di continuare a esserlo dopo oltre settant’anni.”La Sicilia” ha raccontato la storia di questa terra e lo farà ancora e ancora finché avremo lettori al nostro fianco e la stessa passione.

ARCHIVIO STORICO/1. CORREVA L’ANNO 1954
Così un cronista de La Sicilia risolse il caso del “morto-vivo di Avola”

Un caso giudiziario come tanti, almeno all’apparenza. Nel 1954, nelle campagne di Avola, una lite fra fratelli finita nel sangue. Paolo Gallo, uno dei due fratelli, scompare nel nulla e viene dato per morto. Il fratello Salvatore verrà ritenuto colpevole dell’omicidio e condannato all’ergastolo. Ma un cronista de La Sicilia, Enzo Asciolla, con una paziente indagine giornalistica trova in vita Paolo Gallo e fa liberare dal carcere suo fratello Salvatore. Elisa Campo, con una tesi di laurea dal titolo “Il giornalismo d’inchiesta: il caso del morto-vivo di Avola”, ritrova nell’archivio storico del nostro giornale tutta la documentazione per ricostruire la vicenda. E la mette a confronto con il romanzo-verità di Paolo Di Stefano “Giallo d’Avola” (Sellerio). Ne emerge uno spaccato fra storia e letteratura. Con una notizia nella notizia: nel terreno dove, nel 1954, avvenne la lite fra i fratelli Gallo, oggi c’è una masseria adibita ad attività di agriturismo. 

ARCHIVIO STORICO/2. CORREVA L’ANNO 1978 
La tragedia di Punta Raisi, 108 morti ma 21 persone salvate da due pescherecci

Una tragedia scuote la Sicilia alla vigilia di Natale del 1978: un aereo in atterraggio verso Punta Raisi precipita in mare. Più di cento le vittime, pochi i superstiti, molte le polemiche. Nella sua tesi di laurea (“Gli archivi storici come fonte per la storia contemporanea: il caso della tragedia di Punta Raisi”) Antonino Gagliano ricostruisce quella vicenda, che lo tocca personalmente, nei minimi particolari. L’autore è mosso da desiderio di sapere e da partecipazione emotiva: tra le 108 vittime di quella sciagura, infatti, si trovava anche suo zio, Andrea Scaglione. Nel suo lavoro, Gagliano si serve soprattutto dell’archivio storico digitale del nostro giornale. Il tragico evento è un chiaro esempio di come una notizia possa colpire i il cuore di molti ma finire nel dimenticatoio dopo poche settimane. Nel suo lavoro Gagliano analizza passo dopo passo tutti i momenti di rilievo nel racconto della tragedia: dall'ammaraggio nel cuore della notte fino alla sentenza finale, 365 giorni dopo, che trova nei piloti deceduti gli unici colpevoli.