La Sicilia - Quando il femminicidio era ancora delitto d’onore

Studentessa di Taormina si laurea con una tesi sui linguaggi usati in passato per i fatti di cronaca con vittime le donne

CARMEN GRECO

CATANIA. Come si raccontava sui giornali il femminicidio negli Anni Sessanta? Qual era il linguaggio usato dai cronisti dell’epoca, quando era ancora in vigore la legge sul delitto d’onore abolita incredibilmente “solo” nel 1981?
    Due domande che s’è posta Benedetta Intelisano 27 anni, di Taormina, nella sua “prova finale” (la tesi) della sua laurea triennale in Scienze e lingue della Comunicazione nell’Università di Catania (relatore il prof. Giuseppe Di Fazio, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Domenico Sanfilippo).
    «L’idea - racconta la giovane neolaureata - è nata dopo la partecipazione ad un raduno della Summer media school a Catanzaro nella quale si trattava il tema di come oggi i media raccontano i femminicidi spesso, ancora, con questo sentire comune della donna che viene rappresentata come “una che se l’è cercata” e l’uomo addirittura viene giustificato (“Vabbé però lei l’aveva lasciato”). Così mi sono chiesta perchè ancora oggi abbiamo una percezione del genere».
    Già, perché? Ecco allora che i casi trattati nella tesi sono due, emblematici: uno del 31 maggio 1965, vittima Rosa Maria Di Modica, 28 anni, uccisa dal marito Gaetano Cirrone 33 anni, ex detenuto, ex emigrato, ex stupratore (condannato e poi “riabilitato” dopo aver scontato la pena) tornato dalla Svizzera per uccidere la moglie e poi sparatosi un colpo in testa; l’altro, è il caso di Liliana Chiello, 20 anni, uccisa a Piazza Armerina dal marito, il bracciante Benito Lentini che, l’8 agosto del 1968, l’ammazza a colpi di pistola assieme all’amante Calogero Cardaci.
    «Mi ha sempre incuriosito - continua Benedetta (una collaborazione con Radio Zammù, la neoiscrizione albo dei giornalisti pubblicisti e l’assegnazione della borsa di studio dell’Ordine intitolata a Norman Zarcone il dottorando in Lettere e filosofia che si tolse la vita nel 2010 per protesta contro il sistema che penalizza i giovani talenti) - venire a contatto con determinate storie, incontrare persone che ti raccontano che hanno avuto problemi sul lavoro solo perché sono donne. Vedere, per esempio, medici donne che prendono uno stipendio inferiore a quello dei colleghi uomini. In questo mondo della discriminazione di genere in qualche modo ci siamo dentro tutti».
    Perché proprio questi due casi?
    «Erano molto significativi di quello che stavo cercando, nel senso che entrambi sono avvenuti non a ridosso del 1981, ma molto prima, in un periodo in cui il delitto la legge sul delitto d’onore era in pieno vigore. Poi dovevano essere avvenuti in Sicilia, dovevano essere “conclusi” e con un forte riscontro mediatico da parte del pubblico. Così tramite l’archivio storico de “La Sicilia” sono andata a recuperare questi pezzi (all’epoca le vicende sono state raccontate da Enzo Asciolla e Calogero Pace ndr) per vedere come erano state riportate sul giornale queste due vicende. All’inizio pensavo che ci fosse una discriminazione molto più pesante, un conto è dire che la responsabilità è solo dei giornalisti che utilizzavano un linguaggio discriminatorio, un conto è il fatto che i giornalisti riportavano le arringhe degli avvocati. Certo al giornalista sarebbe spettato comunque il compito di fare una scelta. Non dimentichiamo che, all’epoca, a fare questo mestiere erano quasi tutti uomini e questo si sente nei pezzi».
    Per esempio?
    «Due-tre giorni dopo l’omicidio di Niscemi, non c’erano ancora nè processi, nè atti, nè arringhe di avvocati da riportare, eppure il giornalista parla con un carabiniere che dice “Perché volete che un uomo venga a precipizio dalla Svizzera senza avvertire la moglie? Un motivo di sarà...”, C’è tutta una linea molto accusatoria nei confronti della donna “accusata” agli occhi del marito - così si disse - da una lettera anonima ricevuta dal marito in Svizzera. Tra l’altro, questa lettera, in realtà, non è mai stata trovata, non sapremo mai se la donna avesse davvero tradito il marito, eppure nell’articolo viene descritta come “piuttosto vivace e abbastanza piacente, le piacevano i divertimenti e vestiva sempre elegantemente...”».
    Oggi il linguaggio è cambiato davvero?
    «Penso che un cambiamento ci sia stato e che i casi di discriminazione linguistica siano isolati. Da un lato perché siamo cambiati anche a livello culturale, dall’altro perché l’Ordine dei giornalisti ha adotta un decalogo. Però dei casi ci sono ancora, del resto se l’Ordine ha adottato questo decalogo solo nel 2016, vuol dire che ancora c’è bisogno di spiegare ai giornalisti come debba essere raccontata una violenza su una donna. La mia percezione comunque è positiva, il linguaggio non è così pesante come tre-quattro anni fa, il livello un po’ si è alzato, ma siamo ancora nel pieno del mutamento». 

DAL NOSTRO ARCHIVIO: Benedetta Intelisano è una giornalista pubblicista di Taormina, appena laureata all’Università di Catania in Scienze e lingue della Comunicazione con una tesi su due casi di femminicidio nella Sicilia degli Anni Sessanta: “Analisi del linguaggio giornalistico attraverso l’archivio storico de La Sicilia”. Il lavoro prende in analisi due uxoricidi avvenuti a Niscemi e a Piazza Armerina (a fianco le cronache del tempo), rispettivamente nel 1965 e nel 1968 quando era ancora in vigore l’articolo 587 del codice penale sul delitto d’onore.

 

© La Sicilia 19 luglio 2018