Sfogliare la storia: i 75 anni de "La Sicilia"
di Giuseppe Di Fazio
Settantacinque anni di notizie inseguite con ostinazione, cercate con cura, raccontate con onestà intellettuale. Sfogliare le annate de “La Sicilia”, a partire da quel primo numero del 15 marzo 1945 stampato su un foglio a due facciate che si vendeva a 2 lire (quando il pane costava 18 lire al chilo) è come immergersi nella storia. E avvertire a distanza di tanto tempo, attraverso i titoli le foto gli articoli, l’ansia di riscatto che animò un’intera generazione uscita dalla guerra, l’illusione del boom economico, il miraggio dell’Autonomia speciale, la sfrenata frenesia del consumismo, ma anche le tragedie provocate dai terremoti o le stragi e gli omicidi di stampo mafioso. Tutto questo e altro sarà possibile sperimentare nella mostra “La Sicilia 1945-2020. L’Isola allo specchio” curata dalla Fondazione “Domenico Sanfilippo editore”. La mostra, che avrebbe dovuto essere inaugurata lo scorso 10 marzo nelle Cucine dell’ex monastero dei Benedettini di Catania e nel Refettorio piccolo delle biblioteche riunite Civica e Ursino Recupero, è stata rinviata a data da destinarsi a causa dell’emergenza coronavirus.
Macerie e ricostruzione. Catania, nella primavera del 1945, era ancora immersa nel clima della guerra: le macerie dei bombardamenti occupavano intere zone della città, i viveri erano razionati e risultava difficile perfino reperire la carta per stampare i giornali. Il clima di paura di quei giorni e il coraggio di ricostruire ci possono aiutare a superare le gravi difficoltà del presente. Allora la crisi economica si connetteva alla difficile situazione politica: bisognava chiudere i conti con l’eredità fascista, immaginare un futuro scegliendo tra i due blocchi, paragonarsi con le sirene del Separatismo. Ma il clima culturale e umano che si respirava era animato dalla percezione di avviare un nuovo inizio, una ricostruzione della città e del Paese. Alfio Russo, già inviato de “La Stampa”, chiamato a guidare il nuovo giornale di ispirazione liberale che nasceva a Catania aggregò una piccola squadra di giovani giornalisti, alcuni alle prime armi, animati tutti dalla voglia di realizzare un’impresa epica. Basti pensare che uno dei primi inviati, Livio Messina, andava a raccogliere notizie seguendo a dorso di un asino i carabinieri nelle battute alla ricerca dei briganti; mentre Giuseppe Gennaro raccontava, dall’interno, la storia dei giovani che armati lottavano per separare la Sicilia da Roma. E, ancora, Enzo Asciolla andava alla ricerca di Paolo Gallo, per la cui presunta morte il fratello era stato condannato all’ergastolo, e lo ritrovava vivo, con uno scoop rimasto nella storia del giornalismo. Per i giornalisti de “La Sicilia” cresciuti alla scuola di Alfio Russo, futuro direttore del “Corriere della Sera”, raccontare i fatti di cronaca implicava scendere nel pozzo della realtà, andare a vedere di persona gli avvenimenti per poterli raccontare dal vivo. Come fece Nino Milazzo, inviato nel 1963 sui luoghi del disastro del Vajont o come fecero Candido Cannavò e Tony Zermo nel 1968, quando un violento terremoto sconvolse la Valle del Belice, provocando centinaia di morti e decine di miwgliaia di senza tetto.
Il difficile mestiere di giornalista. Ripercorrere questa storia significa anzitutto rendere omaggio a chi ha vissuto questo mestiere con dedizione e professionalità, divenendo, suo malgrado, un “eroe” civile, o una vittima della violenza di matrice mafiosa o ideologica. Accanto ai giornalisti che in Sicilia hanno dato la vita per smascherare le trame della mafia (pensiamo a Giuseppe Fava, Mauro De Mauro, Mario Francese, Beppe Alfano, Mauro Rostagno, Peppino Impastato) o che dall’Isola sono partiti per raccontare le guerre dei nostri tempi (come Maria Grazia Cutuli), è opportuno rendere onore anche agli eroi quotidiani, quei colleghi, cioè, che hanno pagato – col sangue o con l’isolamento – l’onestà nel raccontare i fatti al di fuori delle mode della mentalità corrente. E non a caso Indro Montanelli nel 1977, un mese prima di essere ferito dalle Brigate Rosse, scrisse al nostro Gino Corigliano, di cui ricorre il centenario della nascita proprio il 15 marzo 2020, questa lettera: “ Pare impossibile che dire delle cose di semplice buon senso sia diventato atto eroico, che altrettanto eroico sia da parte di un commentatore dire che il buon senso è buon senso. Eppure è così. Abbracciamoci dunque fra eroi”. Il giornale non è solo lo specchio della società. Può essere anche un faro che illumina aspetti e problemi che l’opinione pubblica o la politica non riescono a vedere. Basti qui citare le note politiche di Nello Simili sull’Assemblea regionale siciliana o gli editoriali di Pietro Barcellona sull’emergenza educativa e di Giuseppe Giarrizzo su la Sicilia e il Mediterraneo. Sfogliare questa storia ci aiuta a trovare gli strumenti e le ragioni per affrontare la grave crisi dei nostri giorni. Ma ci offre anche la chiave per vivere il passaggio alla rivoluzione digitale già in atto nei giornali, valorizzando il patrimonio di professionalità già acquisito e rischiando scelte innovative.
© La Sicilia, 15 marzo 2020
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