Vitaliano Brancati, il 25 settembre del 1954 lo scrittore moriva per un intervento chirurgico
Domenica 26 settembre 1954: La Sicilia annuncia in prima pagina, con un titolo in grande evidenza e la foto, la morte a 47 anni di Vitaliano Brancati. Un avvenimento lontano che diviene memoria viva, respiro del tempo, sintesi di passato e futuro, attraverso la consultazione dell'archivio elettronico del giornale. Ovviamente a guidare le ricerche in una miniera immensa sono le singole propensioni personali. Siamo approdati a Brancati per un interesse da letterato oltre che di etneo.
L'impaginazione è classica: notizia non firmata con il resoconto della morte in una clinica di Torino a seguito di un intervento operatorio, e un commento di Alberto Bossi, dal titolo significativo: Uno spirito libero. L'articolo nel ripercorrere la carriera dello scrittore, nato a Pachino e catanese d'adozione, ne delinea le basi di un'interpretazione critica che i decenni successivi arricchiranno senza stravolgerla.
Nel Don Giovanni in Sicilia, scrive Bossi, «si rivelava l'umorismo di Brancati, secondo una formula ben originale, essendo non tanto il risultato di un'esagerazione caricaturale, quanto di un possesso interamente goduto e assaporato dei personaggi».
Citando a memoria e nella fretta di scrivere l'articolo, Bossi pasticcia un po' con le date, facendo risalire al 1944, e posteriore al Don Giovanni in Sicilia, Gli anni perduti, entrambi i romanzi invece sono stati pubblicati nel 1941. Il secondo, scritto tra il '34 e il '36, era già apparso a puntate sulla rivista Omnibus nel 1938.
Restano però definitivi i giudizi, come l'esatta definizione degli Anni perduti, «ardita satira della megalomania mussoliniana». O quello sul Vecchio con gli stivali, di cui Brancati aveva ricavato il soggetto per il film Gli anni difficili di Zampa: Bossi nella vicenda del povero Piscitello, costretto a iscriversi al Fascio ed epurato dagli antifascisti, trovava «quel tanto di umana pietà per le debolezze di certi poveri diavoli capitati a vivere in un'epoca cialtrona e sopraffattrice».
Si sofferma poi sul romanzo Il Bell'Antonio, vincitore del premio Bagutta nel 1950, in cui il segreto del protagonista, «una fisica incapacità», provoca «reazioni di una comicità grandiosa... di una Sicilia imbevuta del mito della virilità, sino all'ossessione, alla mania». E cita Emilio Cecchi che evocò la comicità di Aristofane.
Grazie agli studi posteriori e a un libro di Corrado Brancati, amabile fratello dello scrittore e per tantissimi anni critico cinematografico della Sicilia, sappiamo tante più cose di quel viaggio a Torino e della scelta del chirurgo, Dogliotti, allora molto famoso e che aveva diretto la clinica chirugica dell'università di Catania.
Lo scrittore, che viveva già separato dalla moglie Anna Proclemer, tra fine agosto e primi settembre si era recato con la figlia Antonia dai genitori a Zafferana dove erano soliti villeggiare. In una lettera dell'otto agosto da Roma scrive: «Carissimi papà e mamma, sono contento che siate già a Zafferana. Da ieri Antonia ha lasciato Fregene, e mi fa una grande e bella compagnia. Domani pomeriggio, parto con lei e la signorina in macchina. A sera tarda saremo a Riccione ove ci aspetta Anna che vi sta recitando il Tasso di Goethe.... E di qui fra il 25 e il 27 agosto partiremo per Zafferana».
Dopo una breve vacanza, lo scrittore partì per Roma, per andare poi a ricoverarsi a Torino. Nell'ultima lettera ai genitori il 22 settembre appare sereno: «Ho avuto la lieta sorpresa di vedere Corrado. Io pago la pensione in clinica, ma mangio fuori. Ieri siamo andati, Anna, Corrado e io, in un ristorante famoso della città. Ieri pomeriggio siamo andati al cinema».
L'operazione doveva consistere nello svuotamento di una cisti, il chirurgo decise di asportarla definitivamente, ma il vuoto provocò una crisi mortale.
La salma, nel viaggio di ritorno da Torino a Catania, sostò a Roma dove amici e scrittori gli resero omaggio. I funerali si svolsero il 29 settembre nella chiesa dei Minoriti a Catania. A fine cerimonia la commemorazione fu tenuta dall'amico e storico dell'arte Enzo Maganuco. Il comune inviò le guardie municipali per il picchetto d'onore. L'assessore però aveva rigettato la proposta degli amici di un funerale a spese del municipio per non creare precedenti.
Grande fu il cordoglio generale, ma l'omaggio più inaspettato per lo scrittore che aveva avuto una giovanile infatuazione fascista, per l'amico del gerarca Filippo Anfuso, giunse lo stesso giorno del funerale dalla commemorazione tenuta all'Assemblea regionale siciliana da un deputato comunista, il mitico Pompeo Colajanni, che con il soprannome di Barbato era stato comandante partigiano e aveva liberato Torino.
Si erano conosciuti e frequentati nel 1937 a Caltanissetta quando Brancati vi lavorava come insegnante e Leonardo Sciascia da studente lo ammirava per gli articoli che leggeva sulla rivista di Longanesi Omnibus.
Colajanni garantiva sulla conversione di Brancati: «La continuità dell'allora stabilita e mai interrotta amicizia, la comunione della lotta ci consentono di fare testimonianza della sincerità di quel travaglio, della adamantina purezza dei propositi, della singolare bontà mai raffreddata, ma anzi vivificata dal rigore e dalla chiarezza dell'analisi».
Colajanni faceva leva sul Ritorno alla censura, atto di accusa di Brancati contro le classi dirigenti, prima fasciste e ora democristiane, che non tolleravano né la satira né la libertà di pensiero. Bossi nel suo articolo se n'era dimenticato forse perché il bersaglio era l'allora sottosegretario Andreotti, che nel 1952 aveva proibito, perché scabrosa, la messa in scena della Governante. E toccò a un democristiano, il presidente della Regione Restivo, chiudere la commemorazione definendo Brancati orgoglio dei siciliani.