Sicilian Post - Dal­le bar­ri­ca­te del ’68 al­l’e­ra dei so­cial: si può an­co­ra de­si­de­ra­re l’im­pos­si­bi­le?

JOSHUA NICOLOSI

Pro­fes­so­re di let­te­ra­tu­ra ita­lia­na al­l’U­ni­ver­si­tà di Ca­ta­nia e per anni pre­si­den­te del­la Fon­da­zio­ne Scia­scia, An­to­nio Di Gra­do, che que­gli anni li ha vis­su­ti in­ten­sa­men­te, nel cor­so del di­bat­ti­to Il no­stro ’68 ha of­fer­to uno spun­to per ri­flet­te­re sul si­gni­fi­ca­to del de­si­de­rio di ieri e su quel­lo di oggi

Nel­le in­fuo­ca­te gior­na­te del mag­gio fran­ce­se, un mot­to, in par­ti­co­la­re, si fa­ce­va stra­da tra i ri­vol­to­si ses­san­tot­ti­ni: «Sia­te rea­li­sti, chie­de­te l’im­pos­si­bi­le». In­ter­pel­la­to sul si­gni­fi­ca­to di quel­la fra­se in re­la­zio­ne al no­stro tem­po, An­to­nio di Gra­do, dal­l’al­to di chi il ’68 lo ha vis­su­to da pro­ta­go­ni­sta come di­ret­to­re del vi­va­ce gior­na­le stu­den­te­sco Si­ci­lia stu­den­ti, ha così ri­spo­sto: «Il sen­so del­lo slo­gan è ri­ma­sto lo stes­so. Non ci pos­sia­mo ada­gia­re, bi­so­gna pra­ti­ca­re sem­pre l’u­to­pia». Una con­ce­zio­ne del­la vita uma­na, dun­que, for­te­men­te vo­ta­ta al de­si­de­rio, come spes­so an­che la let­te­ra­tu­ra ci ha in­se­gna­to (ba­sti pen­sa­re a Leo­par­di). Ver­reb­be da chie­der­si, sul­la base di una tale af­fer­ma­zio­ne, se le con­di­zio­ni che por­ta­ro­no le gio­va­ni ge­ne­ra­zio­ni de­gli an­ni’60 a ma­ni­fe­sta­re «un sus­sul­to esi­sten­zia­le» – per usa­re an­co­ra le pa­ro­le del pro­fes­so­re ca­ta­ne­se –  po­treb­be­ro ri­pre­sen­tar­si al gior­no d’og­gi o se la for­ma e la meta del de­si­de­rio uma­no sia­no ir­ri­me­dia­bil­men­te cam­bia­te.

Professore di letteratura italiana all’Università di Catania e per anni presidente della Fondazione Sciascia, Antonio Di Grado, che quegli anni li ha vissuti intensamente, nel corso del dibattito Il nostro ’68 ha offerto uno spunto per riflettere sul significato del desiderio di ieri e su quello di oggi Nelle infuocate giornate del maggio francese, un motto, in particolare, si faceva strada tra i rivoltosi sessantottini: «Siate realisti, chiedete l’impossibile». Interpellato sul significato di quella frase in relazione al nostro tempo, […]

SI­CI­LIA STU­DEN­TI E LA MIS­SIO­NE CA­RI­TA­TI­VA. Ana­liz­zan­do in­nan­zi­tut­to il ’68, la pri­ma con­si­de­ra­zio­ne che na­sce spon­ta­nea è che le ma­ni­fe­sta­zio­ni di quel­l’an­no non fu­ro­no che l’a­pi­ce di una lun­ga se­rie di ten­sio­ni e mal­con­ten­ti ac­cu­mu­la­ti­si nel de­cen­nio pre­ce­den­te. Un sen­ti­men­to, quel­lo ses­san­tot­ti­no, cre­sciu­to gra­dual­men­te, che, dun­que, al tem­po stes­so, pos­se­de­va la con­sa­pe­vo­lez­za che ogni ob­biet­ti­vo non po­te­va es­se­re ot­te­nu­to se non con de­gli sfor­zi pro­gres­si­vi e tut­t’al­tro che im­me­dia­ti. L’e­sem­pio più chia­ro di ciò è pro­prio la sin­go­la­re at­ti­vi­tà di Si­ci­lia stu­den­ti, che, in bar­ba ai pro­cla­mi ses­san­tot­ti­ni che mi­ra­va­no ad ab­bat­te­re il si­ste­ma per poi con­cen­trar­si su­gli uo­mi­ni, tra­mi­te l’at­ti­vi­tà ca­ri­ta­ti­va svol­ta pres­so il quar­tie­re San Cri­sto­fo­ro di Ca­ta­nia, pen­sa­va­no ad un mo­del­lo evo­lu­ti­vo so­stan­zial­men­te op­po­sto, in cui un nuo­vo si­ste­ma sa­reb­be nato sol­tan­to dal­l’a­zio­ne di per­so­ne spi­ri­tual­men­te e ma­te­rial­men­te nuo­ve. Si ca­pi­sce, per­ciò, come un si­mi­le in­ten­to non po­tes­se rea­liz­zar­si in tem­pi bre­vi, ma pre­sup­po­ne­va un pia­no d’a­zio­ne a lun­go ter­mi­ne. E pa­zien­za se i ri­sul­ta­ti del­le con­te­sta­zio­ni o dei mo­vi­men­ti so­cia­li del ’68 non sia­no sta­ti, con tut­ta pro­ba­bi­li­tà, pari alle aspet­ta­ti­ve: per far sì che il de­si­de­rio re­stas­se ade­gua­ta­men­te ali­men­ta­to, era ne­ces­sa­rio con­ti­nua­re a col­ti­var­lo, in­di­pen­den­te­men­te da un ri­scon­tro im­me­dia­to. Era una ge­ne­ra­zio­ne, quel­la ses­san­tot­ti­na, che si era la­scia­ta alle spal­le la guer­ra e che si era de­di­ca­ta al pro­ces­so di ri­co­stru­zio­ne dei tes­su­ti so­cia­li; la stes­sa ge­ne­ra­zio­ne che, de­lu­sa dal­la di­re­zio­ne pre­sa dal mon­do post-bel­li­co, si in­ter­ro­ga­va sui suoi er­ro­ri e cer­ca­va una so­lu­zio­ne per ri­me­dia­re. Il tut­to con la lu­ci­di­tà di chi, an­che sul­le ali del­l’en­tu­sia­smo del­la lot­ta sul­le bar­ri­ca­te, sa­pe­va di do­ver par­ti­re dal bas­so pri­ma di in­tac­ca­re le alte sfe­re.

L’E­SI­GEN­ZA DEL DE­SI­DE­RIO. Si è ra­gio­na­to, poco so­pra, sul fat­to che l’uo­mo, per sua na­tu­ra, non può fare a meno di de­si­de­ra­re. Ap­pa­ren­do que­sto un as­sun­to qua­si in­con­te­sta­bi­le, non pos­sia­mo dire che l’es­se­re uma­no con­tem­po­ra­neo sia iner­me a que­sto sen­ti­men­to. Piut­to­sto, una ri­fles­sio­ne an­dreb­be fat­ta sul­le mo­da­li­tà del de­si­de­rio odier­no. Nel­la so­cie­tà del­l’e­stre­ma ra­pi­di­tà, dove per ot­te­ne­re un pa­re­re o un in­for­ma­zio­ne ba­sta­no po­chi se­con­di, dove il be­nes­se­re dif­fu­so ha por­ta­to gran par­te del­le per­so­ne ad esi­ge­re tut­to e su­bi­to, nel­l’e­ra dei so­cial dove per con­te­sta­re un po­li­ti­co o un’in­te­ra isti­tu­zio­ne ba­sta­no 140 ca­rat­te­ri, è an­co­ra pos­si­bi­le par­la­re di esi­gen­za del de­si­de­rio? O, in al­tre pa­ro­le, esi­ste an­co­ra la cul­tu­ra del sa­pe­re at­ten­de­re che le cose ma­tu­ri­no nel tem­po ne­ces­sa­rio? Più che de­si­de­ra­re, oggi sem­bria­mo abi­tua­ti a pre­ten­de­re: così fa­cen­do, si ri­schia di ri­ma­ne­re su po­si­zio­ni su­per­fi­cia­li, dove si cer­ca un ge­ne­ri­co cam­bia­men­to sen­za sa­pe­re esat­ta­men­te cosa e come cam­bia­re. Per tor­na­re a so­gna­re in gran­de, a ri­da­re va­lo­re al­l’u­to­pia di cui par­la Di Gra­do, bi­so­gne­reb­be riap­pro­priar­ci, pri­ma, del­la cul­tu­ra del tem­po come pre­sup­po­sto fon­da­men­ta­le per col­ma­re il vuo­to di un de­si­de­rio. Ne sa­re­mo an­co­ra ca­pa­ci?

 

Fonte: http://www.sicilianpost.it/dalle-barricate-del-68-allera-dei-social-si-puo-ancora-desiderare-limpossibile/